Lodovico Pogliaghi
La vita e le opere
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odovico Pogliaghi nasce l’8 gennaio 1857¹ a Milano dall’ingegnere ferroviario Giuseppe Pogliaghi e da Luigia Merli, entrambi appartenenti a ricche e distinte famiglie borghesi della città. Frequenta il Liceo Parini di Milano per poi iscriversi all’Accademia di Belle Arti di Brera, dove è allievo di Giuseppe Bertini (Milano 1825 – 1898).
Fantasia, facilità di esecuzione, ordine e profonda dedizione caratterizzano l’opera del pittore, scultore, architetto e scenografo Pogliaghi. Ai dipinti giovanili di tema religioso e storico – nonché al restauro e alla decorazione di nobili dimore – affianca presto la produzione scultorea, ambito che più gli riuscì congeniale. Si applica con grande finezza ed eleganza anche alla grafica, alla glittica, all’oreficeria e all’arte vetraria. È stato insegnante di ornato a Brera dal 1891 e fece parte dei più importanti consessi artistici.
La sua prima commissione di rilievo è il dipinto raffigurante la Madonna fra i santi, del 1878, per la chiesa parrocchiale di Solzago (Como), cui segue nel 1885 la Natività della Vergine per la chiesa di San Donnino a Como. Nel 1886 inizia invece un nuovo progetto artistico che vide la pubblicazione delle Illustrazioni per la Storia d’Italia, edita dalla Casa Treves di Milano. Negli stessi anni comincia un tirocinio sotto la direzione di Giuseppe Bertini, durante il quale collabora all’allestimento del Museo Poldi Pezzoli e alla decorazione di Palazzo Turati a Milano.
Della sua attività di decoratore restano inoltre le pitture compiute nel salone centrale del Castello del Valentino a Torino, i cartoni per i mosaici delle lunette del Famedio milanese (1887) e del sepolcro di Giuseppe Verdi, oltre che i complessi lavori eseguiti per la Cappella Cybo nel Duomo di Genova.
Scultore particolarmente prolifico, a lui si devono il sepolcro di Quintino Sella a Oropa (1892), il Crocifisso per l’altare maggiore del Duomo di Milano (1926), il gruppo colossale della Concordia per l’Altare della Patria a Roma, la tomba di Camillo e Arrigo Boito a Milano (1927), il tabernacolo in bronzo della Cappella del Rosario nella Basilica di San Vittore a Varese (1929), il sepolcro di Ludovico Antonio Muratori a Modena (1930), le porticine del tabernacolo, un Crocifisso in argento e sei statue bronzee per l’altare maggiore del Duomo di Pisa (1926-1928), la sistemazione della tomba di Dante a Ravenna (1921).
La sua opera più famosa è di certo la porta centrale del Duomo di Milano, alla quale Pogliaghi si dedica alacremente dal 1894 al 1908; nella sua casa al Sacro Monte di Varese si conserva ancora oggi il gesso originale.
Lavoratore instancabile, unisce una facile ispirazione a un’eccezionale preparazione tecnica e culturale una volontà tenace e una resistenza formidabile; un’estrema rapidità di creazione si accompagna in lui a una scrupolosa acutezza di esecuzione. Il suo percorso artistico è permeato da un’intransigente fedeltà alla tradizione e da una rigida disciplina accademica. Dibattuto fra le ultime suggestioni dell’ormai tardo Romanticismo e qualche timida apertura alla sensualità del Liberty, Pogliaghi resterà sostanzialmente escluso dai movimenti rivoluzionari e dalle avanguardie che tra la fine dell’Ottocento e la metà del Novecento cambieranno completamente il volto dell’arte europea. Proprio per questo motivo Lodovico, che pure ha conosciuto in vita un grande successo, viene progressivamente dimenticato dalla critica, che gli ha preferito artisti più provocatori e di rottura. Pogliaghi è infatti un artista nel senso rinascimentale del termine, dedito com’era al costante affinamento virtuosistico delle sue abilità tecniche ed espressive.
Alla sua produzione artistica affianca da subito una fervida vocazione collezionistica. La sua passione per l’arte, le antichità e per gli oggetti inusuali, esotici e rari, lo porta a trasformare la sua abitazione in uno splendido scrigno di tesori: una vera e propria Wunderkammer sulla sommità del Sacro Monte di Varese. Proprio qui si è spento all’età di 93 anni, ancora nel pieno della sua attività.
¹ NAVONI, Lodovico Pogliaghi e l’Ambrosiana, da Storia dell’Ambrosiana. Il Novecento, pag. 248: le date di nascita e di battesimo sono state controllate sull’atto di battesimo conservato in parrocchia; come date di nascita ALBERTI, La vita e le opere, pag. 9 indica invece il 5 gennaio; mentre NEBBIA, La vita e le opere, pag. 38 indica il 7.
Pogliaghi e il Sacro Monte
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odovico Pogliaghi lavora al restauro di varie cappelle e del santuario del Sacro Monte di Varese. Frequentando proprio questi luoghi l’artista se ne innamora, attratto dalla bellezza e dal clima piacevole del Sacro Monte, all’epoca meta dei soggiorni estivi delle famiglie borghesi di Milano. A partire dal 1885 acquista quindi una serie di terreni per intraprendere la costruzione della sua casa, alla quale si dedica con grande dedizione per tutta la vita.
Oltre alla villa – progettata dallo stesso Pogliaghi – fanno parte della proprietà anche il giardino e il rustico sovrastante l’abitazione. Riallestito nel 2005 il rustico accoglie oggi la raccolta di vetri e parte della collezione d’arte di Lodovico.
Alla sua morte, avvenuta nel 1950, Pogliaghi viene tumulato nel piccolo cimitero del borgo di Santa Maria del Monte, non lontano dalla casa museo.
La Casa Museo
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ogliaghi concepisce la sua abitazione come un vero e proprio laboratorio-museo: un “buen retiro” in cui potersi dedicare allo studio, alla creazione artistica, al collezionismo e alla contemplazione del paesaggio.
La villa, da lui stesso progettata, riflette il gusto eclettico e la curiosità del proprietario verso tutte le forme d’arte. Un giardino all’italiana seminato di antichità introduce l’ospite alle sale della dimora in cui sembrano rivivere i diversi stili della storia dell’architettura; stanze accuratamente allestite con passione e cura dal padrone di casa per stupire, evocare, educare, ispirare.
Pogliaghi decide in vita di donare contenitore e contenuto alla Santa Sede, donazione poi definitivamente perfezionata nel 1937, la quale gira poi la proprietà alla Veneranda Biblioteca Ambrosiana di Milano, ancora oggi custode di questo luogo. A una prima continuativa apertura al pubblico fra il 1971 e il 1990, segue poi un lungo periodo di silenzio, nel corso del quale la dimora rimane inaccessibile ai visitatori. Nel maggio del 2014 si è potuto finalmente assistere alla riapertura di Casa Pogliaghi con una veste rinnovata. Il nuovo allestimento museale intende infatti avvicinarsi il più possibile all’aspetto che Pogliaghi conferisce alle diverse sale (che ospitano più di 1500 opere tra dipinti, sculture e arti applicate e circa 580 oggetti archeologici), rispettando l’originale e personalissima disposizione degli arredi e delle opere voluta dallo stesso artista, che declina qui il proprio concetto di “casa” come opera d’arte totale.
IL PERCORSO ESPOSITIVO
Sala della Madonna
La sala d’ingresso della casa museo è detta Sala della Madonna o Sala delle collezioni. La selezione degli oggetti esposti, accuratamente allestiti da Pogliaghi all’interno di vetrine da lui stesso concepite e realizzate, è il frutto della vivace curiosità e del gusto eclettico che caratterizzano la personalità del vorace collezionista. Sono infatti presenti opere dei più diversi materiali (terracotta, oro, argento, bronzo, avorio, porcellana, carta, vetro, tessuti preziosi…), provenienti dai più diversi contesti storici, artistici e geografici. Tra i pezzi più significativi spicca nella nicchia centrale una Madonna con il Bambino in legno policromo, datata all’inizio del Cinquecento e attribuita allo scultore tedesco Gregor Erhart; il suo ricco basamento in stucco è frutto di un’integrazione di Pogliaghi che sceglie di ispirarsi alla Madonna Taccioli del Bambaja, oggi conservata al Castello Sforzesco di Milano. In un’altra vetrina è invece un Cristo in croce acquistato da Lodovico come opera dello scultore fiammingo Giambologna. In un’altra ancora, vetri realizzati dalle manifatture medicee e veneziane. Non mancano, inoltre, statue e oggetti provenienti dall’Oriente, fra cui due marionette del teatro delle ombre giavanese, chiamate Wayang Kulit, risalenti al XIX secolo.
Sala del Telamone
In questa piccola sala, che collega l’ingresso alla Biblioteca di Lodovico Pogliaghi, è possibile ammirare un forziere settecentesco, una Sant’Anna Metterza umbra in legno policromo del XIV secolo accanto a un telamone risalente al XII secolo, proveniente, secondo recenti studi, dal Duomo di Cremona.
Biblioteca
La Biblioteca di casa Pogliaghi raccoglieva fino agli anni Cinquanta preziosi incunaboli, pergamene, autografi e cinquecentine, oggi custoditi presso la Veneranda Biblioteca Ambrosiana di Milano che ne garantisce la corretta conservazione e accessibilità. La rimozione delle scaffalature, scomparse già dalla prima apertura al pubblico, ha permesso di dare maggiore visibilità alla decorazione parietale (progettata dallo stesso Pogliaghi e lasciata purtroppo incompiuta), studiata per evocare l’atmosfera di uno studiolo rinascimentale. Nella sala è oggi esposta una parte della produzione di medaglie e placchette commemorative realizzate dall’artista nel corso della sua lunga carriera, fra cui la grande medaglia coniata nel 1929 in occasione della firma dei Patti Lateranensi. La Biblioteca ospita inoltre uno dei pezzi più preziosi della collezione: un bozzetto in terracotta del primo Seicento raffigurante Santa Bibiana, attribuito a Gian Lorenzo Bernini.
Sala Rossa
La Sala Rossa prende il nome dai ricchi damaschi cremisi settecenteschi utilizzati da Pogliaghi come tappezzeria, completata da un fregio dipinto con putti festanti da lui stesso realizzato. Al centro della sala, un grande vaso Ming si erge su un esuberante sostegno in bronzo di gusto neo rococò opera di Pogliaghi.
Dal balconcino della sala – che accoglie una riproduzione del tripode realizzato dallo scultore per il Tempio Canoviano di Possagno – è possibile godere di un sorprendente colpo d’occhio sulla vallata e sui i laghi. A incorniciare la porta finestra, due vetrine espongono ceramiche e porcellane occidentali (Faenza, Lodi, Bassano del Grappa, Laveno e Meissen) e orientali (Cina, Giappone e Compagnia delle Indie).
Spicca, infine, tra le opere pittoriche una tavoletta con Cristo eucaristico, dipinta dal lombardo Morazzone nel primo decennio del Seicento.
Galleria dorata
Un piccolo disimpegno permette l’accesso alla Galleria dorata. Rivolgendo lo sguardo verso l’alto è possibile ammirare la riproduzione in scala 1:4, in gesso, stucco dorato e specchi, del fastoso soffitto eseguito da Pogliaghi per la sala da bagno di una reggia del terzultimo scià di Persia. Il sovrano ricompensa l’artista donandogli alcune lastre di alabastro, sistemate da Pogliaghi a creare un bovindo che lasciasse filtrare una luce calda e diffusa in grado di regalare a questa sala un’atmosfera incantata.
Agli estremi della Galleria spiccano due fra gli oggetti più preziosi e inusuali della collezione: due sarcofagi egizi. Il più antico e meglio conservato, risalente alla XXV dinastia (747-656 a.C.), accoglieva la mummia di Tameramun, identificata come cantante nel tempio del dio Amon a Karnak. Il sarcofago maschile, realizzato nel corso della dinastia successiva (664-525 a.C.), è stato invece privato della sua policromia originaria lasciando a vista il legno di sicomoro.
Nel bow-window al lato della posta è possibile infine ammirare il bozzetto bronzeo di Ercole e Nesso attribuito a Giambologna.
Atelier
La Galleria dorata costituisce l’ingresso scenografico al grande studio dell’artista, in cui è possibile ancora immaginare Pogliaghi e i suoi aiuti alacremente impegnati nel portare avanti le importanti commissioni che hanno segnato la carriera dell’artista.
A vegliare sul passaggio fra il primo e il secondo ambiente, due Angeli reggicandelabro ricordano i lavori di decorazione eseguita da Pogliaghi per l’altare maggiore del Duomo di Pisa. Le quattro figure bronzee per la Cappella del Sacramento della Basilica del Santo di Padova attorniano invece il modello creato per la maggiore commissione ricevuta da Pogliaghi che lo assorbirà completamente tra 1894 e 1908: la porta centrale del Duomo di Milano dedicata alla Vergine Maria. Introdotto dalla scalinata in marmo di Candoglia, il gesso in scala 1:1 sorprende e affascina per la sua prorompente e scenografica teatralità. Le formelle – dopo aver subito il processo di fusione a cera persa da cui è nata l’opera finale in bronzo – sono state assemblate, rilavorate e in parte dipinte dall’artista per ottenere una personale riproduzione dell’opera.
A testimonianza di due illustri commissioni romane rimangono, invece, il bozzetto per il gruppo scultoreo della Concordia, per l’Altare della Patria, e due formelle per la porta centrale della Basilica di Santa Maria Maggiore.
Fra le tante opere presenti nell’Atelier, emerge su un capitello il volume scuro dell’unica scultura contemporanea della collezione: l’Autoritratto in bronzo di Francesco Messina del 1924.
Esedra
La ricca collezione archeologica di Pogliaghi trova posto nella suggestiva cornice architettonica progettata dallo stesso padrone di casa, che rievoca qui l’esempio illustre del Pantheon di Roma. Domina in questa sala il gusto per l’accumulo, in un affollamento di apparentemente casualità di opere dietro cui si cela la colta regia e l’estro scenografico dell’artista.
La nicchia centrale ospita la statua in marmo di Dioniso-Apollo, risalente alla prima metà del II secolo d.C. e acquistata a Roma nel 1893; Pogliaghi ha modo di confrontarsi direttamente con la gloriosa antichità da lui tanto ammirata, realizzando ex novo, in gesso, la testa del dio.
Ai piedi della statua sono disposte in ogni angolo, in un vero e proprio horror vacui, opere d’arte greca, romana (notevole in particolare il nucleo di ritratti imperiali), egizia (fra cui parte di una sfinge in granito, un’antefissa raffigurante il dio Bes e tre in ushabti in faience nella vetrina), ed etrusco-italica (come gli ex voto in terracotta datati tra il IV e il II secolo a.C.); e ancora, ceramiche antiche, frammenti di architetture classiche e di sarcofagi, opere rinascimentali, brani di pavimenti mosaicati e reperti archeologici. Osservando numerosi pezzi della collezione è possibile apprezzare modifiche, ricomposizioni e integrazioni operate da Pogliaghi stesso per creare pastiche tipici del gusto ottocentesco.